Laura: Riflessioni sul LiveArtena

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Sarà successo anche a voi, almeno una volta, di accendere distrattamente la radio e restare immobili, sentire la pelle irrigidirsi come un mare di pietra,il sangue e la vita tutto in un momento. Una canzone, tutto in un momento. Ero in macchina, quella volta, e in quel momento voltai lo sguardo verso Nicolò che stava guidando. Pensammo la stessa cosa, quella canzone descriveva perfettamente tutto, non parlammo lasciammo scorrere così “Towers” di Bon Iver. Eppure quella radio l’avevamo accesa distrattamente come distrattamente e meccanicamente si fa partire un motore.

Quella sera stavamo tornando a casa dalla solita riunione del lunedì in sacro ritardo, il ritardo tipico del LiveArtena. Ricordo i nostri sguardi preoccupati. Mancava solamente un mese all’inizio dell’evento e fino a quel momento avevamo solamente la bocca piena di parole e le mani ancora troppo pulite. Dicevamo: “ Non è possibile, non ce la faremo” e intanto il tempo passava e le occhiaie aumentavano tra libri, appunti, notti insonni e ancora riunioni. Venti chilometri ad andare, altrettanti a tornare e ogni volta pensavo “sto andando a casa” mai “Sto uscendo di casa”. Artena è diventato anche il mio nido, adottata da una famiglia fatta di braccia forti che mi protegge e mi fa crescere.

Un anno fa in un post scrivevo:

“Sembra di essere in una grande famiglia vivace, intelligente, allegra, orgogliosa, arguta, espansiva instancabile ed è un privilegio farne parte.”

Insieme abbiamo unito quei mattoni spaccati con il sudore, mattoni che contano più delle parole e come le parole si poggiano l’una sull’altra, che come mani si incastrano l’una nell’altra.

Provo a spiegare:

alcune volte mi sedevo di proposito sulle scale di Santa Croce in pieno concerto. Pensavo che in un qualche modo avrei dovuto chiudere quel momento in una scatola. Volevo Scrivere del LiveArt per ricordare il LiveArt. Immaginavo le parole, mi lasciavo trasportare dai suoni poi a un certo punto qualcuno mi chiedeva permesso per tornare al suo posto dopo aver preso una birra, uno di voi si sedeva al mio fianco, mi abbracciava, Matteo mi incitava a fotografare.
Sorridevo, mi alzavo e pensavo che avrei scritto tutto appena tornata a casa. Non sono mai riuscita a farlo. Avevo paura di non riuscire a spiegare tutto, così sceglievo di non spiegare niente.

Poi ho letto i vostri messaggi, ascoltato le parole di Martina. Pianto.

Poi ho ricordato quella sera di ritorno in macchina con Nicolò e mi sono detta che quello era il modo giusto per spiegare il LiveArt, per me. Distrattamente ho acceso il mio motore, distrattamente mi sono ritrovata a ballare con la vita tutto in un momento come quella canzone di Bon Iver, tutto in un momento.
Ho capito di amare anche il più piccolo granello di polvere.
Ho capito che è Oceano anche la goccia più piccola.

Adesso ascolto “Towers” con gli occhi pieni di gioia.

Grazie a tutti.